Numero 208, pag 6 - Febbraio 2020

Il tema delle denunce per presunti maltrattamenti ad opera di maestre è un problema di grande attualità che desta l’attenzione di un pubblico spesso ondivago tra posizioni di giustizialismo forcaiolo e garantismo, disposto a consumare i processi attraverso i media tra radio, tv e giornali prima ancora che nei tribunali.

 

Quella che dovrebbe essere una materia da trattare con grande competenza, proprio per la delicatezza del tema affrontato, viene spesso passata al tritacarne mediatico qualunquistico e sommariamente demagogico di un giornalismo improvvisato e superficiale. Ne è stato un aberrante esempio quanto avvenuto di recente nella trasmissione radiofonica del 29.01.20, condotta da Maurizio Costanzo e Carlotta Quadri “Strada Facendo”. Il noto showman è intervenuto in modo del tutto inopportuno, rivolgendo alle maestre inquisite una serie di esternazioni sessiste irripetibili ed oscene, varcando il limite della decenza. Una tale presa di posizione, assunta prima del processo giudiziario, non giova ad affrontare seriamente l’argomento e contribuisce a rompere ulteriormente l’alleanza scuola famiglia oltre che a creare pesanti conseguenze sul piano psicologico e sociale per le persone che vengono esposte alla gogna pubblica.

Secondo quanto riferito in varie occasioni ed interviste dalla massima autorità che si occupa di temi legati alle malattie professionali a allo SLC, il dr Vittorio Lodolo D’Oria, una delle ragioni dell’aumento dei casi di “presunti” maltrattamenti starebbe non tanto nel comportamento delle insegnanti, quanto nella stortura dell’impostazione delle indagini giudiziarie.

I reati vengono provati attraverso riprese fatte con telecamere nascoste, ma lo statuto dei lavoratori, per tutelare la riservatezza dei dipendenti negli ambienti di lavoro, pone il divieto all’uso della videosorveglianza a meno che non sia ipotizzato un reato grave. A questo punto appare evidente come, per giustificare l’installazione di telecamere, si debba partire con l’ipotizzare un reato grave. Il reato è considerato grave se il massimo della pena prevista è di almeno 5 anni di reclusione. Pertanto il GIP consente l’installazione delle telecamere nascoste solo se si si può parlare di reato di maltrattamento la cui pena massima è stata portata recentemente a 7 anni. Invece l’ipotesi di un abuso di mezzi di correzione, reato che non supererebbe i 5 anni, non ne giustificherebbe l’installazione da parte degli inquirenti. Tali strategie investigative non tengono conto che una maestra, davanti ad un capo d’accusa anche solo presunto, può avere delle ripercussioni gravissime dal punto di vista psicologico. Nell’arco di un anno due maestre, a seguito di tali esposizioni, sono morte per sopraggiunti problemi oncologici e cardiaci, persone che, fino a prova contraria sono innocenti.

Inoltre, siccome la legge non prevede un contingentamento del tempo di ripresa, le intercettazioni possono prolungarsi fintanto che non emerge un capo di imputazione (dopo 200-400 ore di filmati) ed è abbastanza normale che nell’arco di tempi così lunghi un qualche comportamento non consono compaia. Se poi questi episodi vengono ricuciti in un paio di minuti di ripresa, l’impatto su chi osserva è di una sequenza di eventi riprovevoli. Si può giungere così alla vera e propria costruzione di un reato, soprattutto se gli inquirenti (carabinieri, polizia di stato, guardia di finanza e anche polizia postale) sono funzionari che non hanno una formazione specifica su questioni psico-pedagogico-didattiche legate alla professione e all’ambiente in cui si estrinseca. Il paradosso sta nel fatto che un’indagine di tipo professionale non venga affrontata da esperti della professione.

Nel 2014 i casi individuati sono stati 4, nel 2019 invece 56. L’autorità giudiziaria, nell’intento di risolvere il fenomeno, ne ha aumentato vertiginosamente le proporzioni, lo ha di fatto generato, si tratta infatti di un fenomeno esclusivamente italiano. L’Italia è l’unico paese comunitario in cui si verificano episodi di maltrattamento e sarebbe imbarazzante, dal punto di vista scientifico, giustificarli chiamando in causa la natura malevola delle sole maestre italiane. E’ opportuno quindi puntare il riflettore sull’intero sistema di indagini ed anche, più ampiamente, sui fattori lavorativi che hanno aumentato il livello di malessere nella categoria dei docenti. Una riflessione particolare va posta sugli effetti della Riforma Fornero che mantiene le maestre in cattedra fino ai 67 anni, senza valutarne la tenuta psico-fisica rispetto ad un lavoro che è stato riconosciuto come usurante.

La verità è che la scuola è e rimane il posto più sicuro per un bambino. A differenza di quanto avviene negli ambienti domestici infatti, non vi si sono mai verificati fatti di sangue o maltrattamenti che trovassero un riscontro medico. Questa verità però viene colpevolmente taciuta e distorta e l’omertà non contribuisce a restituire prestigio ed onore alla categoria delle maestre.

Michela Gallina