Numero 213, pag 4 - Giugno 2021

Annalisa Santi, attivista del SAM-Gilda di Verona, è stata vincitrice dell’edizione di esordio del concorso “Un libro in vetrina”, sezione saggistica, con il suo saggio “Di gesso e cipria. Maestre di fine ottocento tra storia, letteratura e seduzione” (Marco Del Bucchia Editore, 2018).

 

Come si evince da un’intervista di Carlo Creschitelli, si tratta di un saggio, in parte storico, sociologico e letterario. L’idea del titolo è nata dalla ricerca di due elementi: la polvere del gesso della lavagna che sta alla scuola come un segno tracciato nella società, mentre la cipria descrive la femminilità della maestra: donna, insegnante ed educatrice, ma anche elemento legato alla sfera personale della rispettabilità e della rappresentazione della propria femminilità.

E’ un libro che descrive e denuncia la discriminazione della condizione femminile. Le prime donne che si avventurarono nel lavoro della scuola trovarono difficoltà inimmaginabili. La figura “prestigiosa” della maestra è qualcosa di recente, che si afferma nella storia italiana a partire dal dopoguerra. Risalendo all’indietro nel tempo fino all’Unità d’Italia, momento in cui la scuola nazionale è nata, assieme ad un Paese ancora tutto da unificare, si scoprono realtà di disagio estremo. Le maestre, assieme alle prime impiegate delle Poste e Telegrafi, furono le prime temerarie a cimentarsi nella grande novità: ricoprire un posto di pubblico impiego, rompendo la tradizione che voleva le donne relegate al focolare domestico. Una rottura degli schemi spesso drammatica. “Via via che procedevo nelle ricerche rimanevo sempre più colpita dalle situazioni di abuso, di relegamento sociale, di sfruttamento. Sì, la parola sfruttamento è forte, ma la ritengo adatta a descrivere quelle situazioni di raggiro e di prevaricazione a volte sfociate in suicidi.” Afferma Annalisa e continua: “Quelle donne, rimaste quasi del tutto sconosciute, vittime sulla strada del progresso e dell’emancipazione, non hanno avuto targhe, convegni o giornate del ricordo o della memoria”. Maestre sfruttate anche dal punto di vista salariale, se si pensa che la loro retribuzione, a carico del Comune, poteva interrompersi all’improvviso in seguito ad un licenziamento o venire modificata in qualsiasi momento in termini di baratto: legname, prodotti dell’agricoltura, dell’artigianato o altro ancora. A parità di titoli e anzianità, inoltre, la maestra donna veniva per legge pagata meno del collega uomo, secondo le tabelle della Legge Coppino. La femminilizzazione della scuola fu quindi anche un fatto economico: se si poteva risparmiare prendendo una donna, perché no!

Una lettura interessante, che celebra un’importante professione e per ricordare a tutti noi da dove veniamo.

M.G.