Home     In primo piano     Rubriche      RSU       Archivio      

     

 

 

 

Home-page

In primo piano

Rubriche

  • Autodifesa

  • normativa

  • Eventi

  • Dibattiti

  • Quesitario

  • Precari

  • Le migliori

  • Bestiario

R.S.U.

Archivio di SAM-notizie

Links

Comunica con noi

Redazione

Segreteria Nazionale

DICEMBRE 2008


NOI, MAESTRI. CAMBIARE PER CAMBIARE?

Anno 1776: l’imperatrice Maria Teresa d’Austria crea la prima scuola per maestri, la cosiddetta scuola “normale”, secondo le idee dell’abate Felbiger. Classi divise secondo l’età degli allievi e capacità degli alunni, con un unico maestro per classe che aveva il compito di “correggere” ogni errore, secondo la “scuola di metodo”.

Nel 1848 il De Sanctis nel Regno di Napoli auspica per il “degnissimo ufficio” dei maestri “un soldo che renda più tollerabile l’esistenza e assicuri la loro sorte nella vecchiezza”

13 novembre 1859, legge Casati: la scuola diventa obbligatoria, un biennio per località con almeno 5 bambini di 6 anni di età e un secondo biennio per Comuni con più di 4.000 abitanti e con almeno 50 iscritti. Tutto a spese dei Comuni, anche gli stipendi dei maestri. Il Consiglio provinciale scolastico, un ispettore provinciale e gli ispettori circondariali, tutti organismi statali, controllano l’igiene, la moralità e la legalità.. Si insegna quasi gratis, specialmente nelle scuole rurali e a seconda del Comune, ma senza interferenze nella didattica.

Nel Regolamento del 1860 é scritto: “L’ufficio del maestro è modesto e pieno di sacrifici, e spesso anche mal remunerato, ma sta in loro poter rialzarlo nella stima del pubblico e renderlo sempre più degno.”

Nel 1877 il Coppino apre nuove scuole magistrali per “la scarsezza di cognizioni didattiche” dei maestri delle scuole rurali

Nel 1888 il Gabelli chiede una preparazione migliore per i maestri: soltanto due o tre anni di scuole Normali dopo le elementari sono troppo poco, rispetto ad altri paesi, per partecipare e ottenere la patente di maestro!

É l’epoca della “maestrina della penna rossa” di deamicisiana memoria.

Nuovi programmi del pedagogista Gabelli: dalla “metodica” all’osservazione e riflessione personale, “in un’aperta visione laica e di concreta criticità”, sia per il maestro sia per l’alunno. Occorre seguire le modalità di sviluppo mentale del bambino, come già sostenuto dal Lambruschini.

Anno 1889: arrivano le prime pensioni, dopo 35 anni di attività e 65 di età (per 32 maestri e 29 maestre).

Ministro Baccelli: istruire il giusto per formare lavoratori competenti, soddisfatti della propria condizione sociale, rispettosi dei doveri più che attenti ai diritti. Compaiono i registri e inizia la burocrazia scolastica, principalmente per controllare il lavoro dei maestri: registri, voti, assenze, incontri con le famiglie …

1903 legge Nasi, primo stato giuridico del maestro: graduatorie di merito per le assunzioni, periodo di prova triennale …

1904, legge Orlando: maggior equità negli stipendi per combattere la crisi di aspiranti-maestri.

1908: cancellate le distanze di status tra maestri e maestre, ma appena la legge 30 maggio 1965 cancellerà la distinzione tra posti maschili e femminili e nel 1942 quella tra maestri di scuole rurali e di scuole urbane.

Codignola, nel 1915, si chiede: “Ma come si diventa maestro?” Chi insegna ad insegnare?

1923, riforma dell’idealista Gentile, a cui collabora Ernesto Codignola il quale sostiene che “la professione magistrale non deve più essere considerata da meno delle più alte professioni liberali”: obbligo a 14 anni, scuola elementare di 5 anni; disegno libero – canto – attività espressive per far emergere fantasia, intuizione e creatività, operare in modo gioioso ma serio, disciplinante per il Lombardo-Radice che dichiara: “La riforma vivrà se i maestri la sapranno far vivere”. È la scuola serena e attiva. La religione cattolica “a fondamento e coronamento”. L’istituto magistrale, bruttacopia del liceo, con prevalenza di materie umanistiche e latino, ma molto superficiale.

1931, Mussolini concede premi di benemerenza a insegnanti e direttori, per meriti culturali, didattici, ossequio alle istituzioni e … partecipazione alla vita dell’Opera Balilla.

1945”Necessita all’educatore un alto senso di responsabilità sociale che l’induca, nella scuola e fuori, ad essere maestro di vita. solo così potrà intendere l’invito a considerare l’insegnamento come una missione di civiltà”.

La Carta della scuola di Bottai, nel 1939, rivaluta nell’istituto magistrale le scienze umane (psicologia e pedagogia) e scienza e tecnica, in vista del lavoro.

I Programmi del 1955 del Ministro Ermini: la religione cattolica come fondamento e coronamento , il fanciullo tutto intuizione, fantasia, sentimento

1956, il Codignola reintroduce il tirocinio e riscrive i programmi delle Magistrali.

……………… e poi tutto il resto ……………


Frastornata dalle novità annunciate-modificate-confermate-rimodificate … mi sono rifugiata nei ripensamenti e nel passato. Nel momento in cui tutti si interrogano sul futuro della scuola, guardando nella sfera di cristallo, sono tornata ai vecchi interrogativi: che uomo vogliamo formare? Chi è il maestro? Perché insegnare? Si può per davvero insegnare qualcosa a qualcuno … ?

Ho preso in mano il libro che una collega mi aveva prestato ed a cui avevo dato soltanto un’occhiata; sono stata attratta soprattutto dal sottotitolo: “La difficile storia degli insegnanti elementari”. Ecco qualcuno che ci osserva e che ci capisce, ho pensato. Poteva essere consolatorio e ne sentivo il bisogno.

Il titolo era più generico: “MAESTRE E MAESTRI” (di Antonio Santoni Rugiu, ed. Carocci, Roma 2006), e la cronistoria della nostra professione, che ho cominciato a riassumere per interesse personale, mi ha confermato l’idea che la scuola elementare è stata ri-ri-ri-rimodellata in continuazione e, con essa, la nostra professionalità.

Con spirito ben diverso sono passata alla lettura del recente libro di una collega, Ilaria Rabusin che lo scorso anno, non appena maturato il diritto alla pensione, ha lasciato la scuola, pur con tanta amarezza e con altrettanta nostalgia per i suoi scolari: “Ho gettato la spugna” è significativamente intitolato (MJM editore, Meda- Milano, 2008).

È un libro forte, appassionato e, in certi momenti, graffiante e polemico; contiene la spavalda rivendicazione della figura, canzonata e aborrita dall’odierna pedagogia italiana, della maestra mamma chioccia e altresì tuttologa, quella che la riforma modulare ha voluto cacciare: la macchinosità organizzativa, il burocratismo, la spersonalizzazione del rapporto educativo che caratterizzano oggi la scuola elementare non interpretano, secondo l’autrice, i bisogni e i turbamenti dei nostri scolari.

Si può essere polemici con le idee espresse, provare reazioni di rigetto o convinte adesioni, com’è naturale, ma certamente questo libro risponde al bisogno di ripensare al “fare scuola”, per cambiare – se necessario - verso un’attenzione più intelligente al rapporto di fiducia e di affetto che permette di mettersi in sintonia con ciascuno dei bambini che ci sono affidati.

La maestra Ilaria rievoca tanti episodi prossimi o remoti della sua carriera. Alcune pagine fanno sorridere, altre provocano sincera commozione; ci sono taluni ricordi, raccontati con felice vena narrativa, destinati a rimanere nella memoria del lettore.

Giuliana Bagliani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
     

Home      In primo piano     Rubriche      RSU       Archivio