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NOVEMBRE 2005 Il labirinto della formazione Il 14 ottobre scorso il Consiglio dei Ministri, con l’approvazione degli ultimi due decreti legislativi attuativi della legge 53/03, ha completato l’iter normativo previsto dalla Riforma della scuola pubblica, meglio nota come Riforma Moratti. Volendo sorvolare sulle polemiche che infuriano in riferimento alla Riforma della scuola secondaria e al parere fortemente contrario espresso dalle Conferenze unificate Stato-Regioni, riteniamo opportuno, dopo aver manifestato solidarietà verso i nostri colleghi delle superiori, soffermarci a riflettere sul decreto inerente alla FORMAZIONE degli insegnanti, il decreto attuativo dell’art.: 5 della legge 53/2003. In merito alla questione, un anno fa avevamo lanciato un segnale di forte allarme in quanto nelle bozze di decreti che erano state inizialmente formulate, compariva l’istituto della ormai tristemente famosa CHIAMATA DIRETTA, ossia la facoltà, attribuita a presidi e dirigenti, di assumere direttamente e quindi “discrezionalmente” il personale della scuola. Questo senza passare attraverso la “canonica” procedura, prevista per le pubbliche amministrazioni: il concorso pubblico. In base alla bozza di decreto, per le nuove reclute, compiuta la formazione, era contemplato infatti un passaggio in contraddizione addirittura al dettato costituzionale: con la mediazione di un “centro servizi” facente grossomodo funzione di “Ufficio di collocamento”, le singole istituzioni scolastiche sarebbero potute procedere all’assunzione diretta dei docenti tirocinanti tramite contratto di formazione. Dopo lo svolgimento con esito positivo del periodo di tirocinio, gli insegnanti sarebbero stati assunti con contratto a tempo indeterminato e con l’obbligo di permanenza nella stessa istituzione per almeno tre anni. E’ evidente come si trattasse di una violazione alle norme che da sempre hanno disciplinato il pubblico impiego, fra cui il principio costituzionale sostenente che “al pubblico impiego si accede esclusivamente tramite pubblico concorso”. In altre parole, per aumentare enormemente il potere dirigenziale, si era cercato di scardinare i principi deputati a garantire oggettività ed imparzialità nella selezione. In un importante CONVEGNO NAZIONALE dal titolo: "ASSUNZIONE DIRETTA: LE RAGIONI DI UN NO", organizzato dalla nostra associazione e tenutosi a Roma il 4 marzo 2005, avevamo già avuto modo di chiarire alcuni concetti fondamentali, grazie anche al contributo offertoci da uno dei relatori, il giudice Fulvio Rocco, magistrato del TAR Veneto. In tale occasione il relatore aveva denunciato, nei testi in esame, vizi di forma e di sostanza. Esordendo con un’accurata analisi del dettato costituzionale in materia di pubblico impiego, aveva ricordato come l’art. 97 richieda che i pubblici uffici debbano essere organizzati in base ai criteri di buon andamento e imparzialità. Indubbiamente uno dei presupposti dell’imparzialità è l’assunzione mediante concorso. Che l’assunzione senza concorso nel pubblico impiego debba essere eccezione e non regola è acclarato da una lunga serie di sentenze della Suprema Corte. Il Giudice ha inoltre evidenziato come la legge delega (53/2003) parlasse di “formazione iniziale dei docenti” ma non dei sistemi di reclutamento degli stessi, mentre di questi ne parlasse proprio ill decreto attuativo citato ad inizio articolo. Siccome un decreto delegato derivante da una legge non può giuridicamente contenere più elementi della legge delega, si è andato configurando un vizio formale di “eccesso di delega”. La denuncia partita dal nostro convegno ha avuto una certa risonanza presso la stampa e nel web, fatto sta che abbiamo avuto la soddisfazione, non di poco conto data l’importanza e la delicatezza della questione implicata, di veder sparire dall’ultimo decreto, quello uscito il 14.10.05, qualsiasi riferimento alla chiamata diretta. Non è il caso di eccedere comunque negli entusiasmi, perché leggendo il contenuto dell’ultimo decreto ci salta subito all’occhio come il cammino per accedere all’insegnamento sia diventato un vero e proprio lungo percorso ad ostacoli dall’esito molto incerto.Sinceramente ci chiediamo quanti avranno l’ardire di intraprenderlo considerando che, per le condizioni di lavoro a cui gli insegnanti sono quotidianamente sottoposti, non si può certo dire che l’insegnamento sia una “professione ambita”. C’è da temere che davvero la nostra sia una professione ad alto rischio di estinzione. Fino ad ora l’accesso all’insegnamento prevedeva un percorso universitario quinquennale (3+2) e l’acquisizione dell’abilitazione attraverso le Siss. Da ora in avanti invece l’iter sarà il seguente:
Chi scrive ha sottolineato tutti gli sbarramenti che il candidato si troverà ad affrontare nel suo percorso. Si tratta di ben 4 esami selettivi per accedere al 50% dei posti programmati, credo che ognuno di noi possa trarre le considerazioni del caso, se tutto andrà per il verso giusto, l’iter durerà almeno 7 anni, altrimenti? Tutto questo per avere circa mille euro di busta paga iniziale. Come si può notare, al p. 8 vediamo comparire un rassicurante “Concorso nazionale” al posto del precedente “concorso indetto dalle singole istituzioni scolastiche” che andava concretizzandosi poi nella scelta del Dirigente scolastico. L’intero percorso sarà gestito dalle Università e, considerando l’inefficienza con cui stanno portando avanti i corsi abilitanti, è forse lecito nutrire qualche riserva sulla qualità del servizio che offriranno alle nuove reclute. Altra piccola considerazione polemica: procedendo ad un ritmo di immissioni in ruolo del 50% da nuova formazione e 50% da graduatorie permanenti, considerando che i docenti attualmente in attesa di nomina a tempo indeterminato (precari) sono diverse centinaia di migliaia, che il turn over fisiologico annuale non supera le 25mila unità all’anno, quanti anni saranno ancora necessari per arrivare al completo assorbimento del precariato storico? Non sarebbe stato preferibile risolvere prima il problema del precariato e successivamente aprire un nuovo canale di reclutamento? Michela Gallina |
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