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Redazione

Segreteria Nazionale

GIUGNO 2008


LE INDICAZIONI PER IL CURRICOLO

A conclusione di questo anno scolastico, che ha visto l’applicazione delle “Indicazioni per il curricolo”, pubblichiamo la sintesi di una relazione che Renza Bertuzzi (responsabile di redazione della rivista “Professione docente”) ha presentato ad un convegno sul tema.

 

Che cosa sono

Le Indicazioni per il curricolo sono un documento contenente tutte le indicazioni necessarie alle Scuole dell’infanzia e del I ciclo (ex elementare e media) per elaborare i curricoli, in ottemperanza della Autonomia e in applicazione della Legge 53/03, meglio nota come Legge Moratti e mai abrogata.

Il Documento è entrato in vigore come allegato del Decreto Ministeriale 31 luglio 2007 “Indicazioni nazionali per il curricolo delle scuole dell'infanzia e del primo ciclo”, il quale, all’ art. 1 così recita: “A partire dall’anno scolastico 2007-2008, le scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione procedono all’elaborazione dell’offerta formativa avendo a riferimento in prima attuazione e con gradualità, le Indicazioni – definite in via sperimentale - contenute nel documento allegato, che è parte integrante del presente decreto” ed è stato preceduto dalla Direttiva Ministeriale 3 agosto 2007, n. 68 “Modalità operative avvio Indicazioni nazionali per il curricolo”.

Impostazione generale

Le indicazioni nel documento “Cultura, Scuola, Persona”, disegnavano un assetto istituzionale e un orientamento politico pedagogico piuttosto precisi attraverso elementi relativi alla

- funzione della Scuola

- equazione scuola/territorio

Ora, sia l’uno che l’altro, sono ribaditi anche nel testo delle Indicazioni.

Rispetto alla funzione della Scuola questa non è più il luogo in cui “il docente esplica la sua attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”, come recita il D.L. 16 Aprile 1994, n. 297 (Parte III, titolo I, Capo I), peraltro ancora in vigore. Al contrario, si assume, in questo documento, che la Scuola sia un’agenzia educativa simile alle altre e che il suo compito sia semplicemente quello di riordinare ciò che gli studenti imparano da fonti molto diverse. Dunque, anche la funzione dei docenti è disinvoltamente modificata: essi non sono più pensati per trasmettere cultura, ma come guide e accompagnatori dei giovani, e come “archivisti” delle numerose informazioni che il mondo esterno generosamente fornisce.

Rispetto all’equazione scuola/territorio si asserisce il principio “comunitarista” di una scuola legata a filo doppio al territorio inevitabilmente legato all’autonomia. Accennato nel documento “Cultura, Scuola, Persona”, si traduce in dipendenza e soggezione ne “Il Curricolo nella scuola dell’autonomia”, ove si afferma che il curricolo della scuola deve ascoltare richieste ed attese delle famiglie e del territorio e di una fantomatica “società”.

La sovrapposizione totale tra scuola e territorio, dove è la prima a rispondere e il secondo a chiedere rivela una concezione, non solo discutibile in sé, ma che non trova nemmeno riscontro nelle norme esistenti. Infatti, come ha osservato il vice procuratore generale della Corte dei conti, Sergio Auriemma, “l’autonomia scolastica si concreta in uno spazio di autodeterminazione non politica, perché la singola scuola non è stata dalla riforma costituzionale del 2001 resa libera nella scelta dei “fini” ma solo, entro certi limiti non comprimibili e da tutelare, nella scelta di “mezzi” tecnico-didattico-metodologici per perseguire fini generali che continuano ad essere posti dalla legislazione, statale o regionale.

 

Sul Piano politico-educativo

Il principio politico-educativo dominante di questa impostazione è relativo alla Centralità della persona (capitolo secondo) e alla “unicità e singolarità dell’identità culturale di ogni studente”.

Principio del tutto simile a quello che ha ispirato la Legge 53/03 e le relative indicazioni nazionali e che aveva già sollevato molte critiche.

L’idea della soggettività umana “unica e irripetibile” è di antica ed autorevole tradizione (da Aristotele in poi), ma desta più di una perplessità se calata nella sua traduzione didattica e pedagogica.

Se infatti è vero che i soggetti sono tutti diversi tra di loro, è altrettanto vero che l’azione politico-educativa (e anche civile) deve puntare sulla percezione delle uguaglianze e non delle differenze. Così crediamo debba essere oggi, in una società che vede nella personalizzazione l’ostacolo più grave alla considerazione dell’interesse comune e generale. Se oggi viviamo in una società divisa a tutti i livelli, compito della Scuola sarà quello di educare alla accettazione di valori che possano tenere insieme queste singolarità assolute, frutto della modernità. Il mettere insieme deve riferirsi a principi e valori civili di natura pubblica, generale e sovraterritoriale, che solo la nostra carta costituzionale può contenere.

Ci si chiede anche e lo si chiede agli estensori del documento, ai politici, alle autorità scolastiche, come potrebbe essere applicato il principio dell’unicità e singolarità nelle nostre classi ormai super affollate, oppresse da quei molteplici problemi (inesistenza di fondi, bullismo, burn-out) che sembrano esistere solo nei dibattiti televisivi e non nell’attenzione e nella cura della politica.

 

Declinazione dell’impostazione generale nelle Indicazioni

Non possiamo non notare che la lingua usata è ampia e astratta, una sorta di discorso irrigidito che non intrattiene più alcun rapporto con la realtà. Inoltre, anche questo documento risente di ciò che potremmo chiamare “semantica del contrario e degli indizi”, cioè di quella scaltra tecnica di intrecciare elementi assolutamente condivisibili con altri che apportano radicali modifiche a situazioni consolidate ed istituzionali.

Il risultato finale è dunque abbastanza estraniante e comunque composto di parti tra loro inconciliabili.

Per esempio, la mission della Scuola è indicata con sicurezza nel fatto che essa debba offrire occasioni di apprendimento e di rispondere a concreti bisogni formativi e di far ottenere il successo scolastico. (pag. 16).

Quindi, le proposte dei docenti devono essere in relazione con i bisogni e con i desideri dei bambini (pag. 18).

Insomma una Scuola che non deve più trasmettere secondo il dettato costituzionale (a pag. 75 si afferma chiaramente che bisogna evitare il rischio della impostazione trasmissiva), che non deve quindi più offrire contenuti propri, che non si pone l’obiettivo di creare curiosità o di imporre contenuti disciplinari, nella quale, conseguentemente, non si dovrebbe più insegnare. Ma, in questo sfondo, tuttavia, vengono inseriti contenuti che non necessariamente scaturiscono dai bisogni dei bambini. Si pensi alla matematica, alle nozioni di grammatica, alla lettura di passi di Dante e così via.

La soluzione delle contraddizioni, non facile, è rimandata ai docenti.

 

Obiettivi, contenuti e Metodologie

Lo Stato deve limitarsi a definire gli obiettivi generali e gli obiettivi specifici di apprendimento per le singole discipline, lasciando all’ autonomia delle Scuole tutto il resto.

Che succede in questo documento?

La prima cosa molto evidente è la vastità del tutto, molte parole vengono spese, molte genericità ribadite. Manca perciò quell’essenzialità necessaria alla comprensione sicura delle indicazioni, per cui gli obiettivi generali risultano generici e spesso ripetuti per i diversi ordini di scuola. La ridondanza determina anche un’ invadenza nelle metodologie, che sappiamo essere il terreno privilegiato della libertà d’insegnamento.

La lingua italiana non trova con chiarezza una sua autonomia epistemologica, essendo inserita in un’area linguistico-artistico-espressiva.

La storia è pensata in unico percorso che non contempla, quindi, la ciclicità, cioè la possibilità di ritornare, ampliando e approfondendo, sui periodi storici. Tutti sappiamo quanto la storia sia sfuggente e labile e quanto abbia bisogno di ritorni di studio per rimanere impressa nella mente.

Emerge un modello di Scuola prevalentemente

q “ socializzante” (persino la lettura è pensata non come abitudine alla introspezione, ma come stimolo alla “ socializzazione”, pag. 50);

q lunga (se si leggono le competenze relative al compimento dell’obbligo scolastico, non si notano molte differenze con quelle richieste alla fine del I ciclo) e quindi una Scuola che punta più alla scolarità che non ai livelli di apprendimento;

q contraddittoria che non si decide tra socializzazione e individualizzazione;

q pragmatica dove importa saper fare alcune cose, necessarie alla condizione di flessibilità che il mercato impone.

Che succederà dunque nel tradurre le indicazioni nei POF delle scuole autonome?

Prima di tutto, va rilevato che sono in cantiere sistemi di valutazione degli apprendimenti, che dovranno servire a vagliare, in senso concreto (per l’attribuzione di fondi) l’efficacia degli istituti autonomi. Ciò potrà determinare un profilo basso dei POF, una temporizzazione delle competenze collocata il più avanti possibile, elemento che non aiuta certo una buona scuola.

In secondo luogo, il rischio più reale è che, nei corsi di formazione che si stanno predisponendo in tutta Italia, si impartiscano i metodi didattici. Il metodo è il luogo della libertà d’ insegnamento e, violato quello, si incide sulla funzione del docente che diventerebbe semplice esecutore di tecniche e, quindi, poco efficace nel rapporto educativo.

L’aspetto più problematico di queste Nuove Indicazioni Nazionali è rappresentato dal fatto che le programmazioni si dovranno riferire alla visione di una scuola che debba ripudiare il sapere a favore del saper fare, concetto che è stato introdotto da Lisbona 2000.

Non sarà che - tanto per pensare male - tutto ciò è in stretta relazione con il fatto che l’attuale mercato del lavoro richiede qualificazioni medio- basse, ad alta intensità di lavoro?

 

In conclusione, ancora una volta, scelte fondamentali per il futuro del Paese, ambigue e problematiche, sono demandate ai docenti, senza chiarezza e con la Politica che si sgrava di responsabilità - accettando che il Mercato diriga anche l’Istruzione.

 

(Estratto da una relazione di Renza Bertuzzi – PD)

 

 

 

 

 

 

 

 
     

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