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Da La Repubblica dell' 11dicembre 2004 La polemica di questi giorni: anche i Re Magi sono branditi come un'arma impropria Chi vuole distruggere il presepe
di MICHELE SERRA CERTE
volte ci si sente soli. Maledettamente soli. Come l'altra sera seguendo, da
Bruno Vespa, una affollatissima chiacchierata in difesa del presepe e delle
carole natalizie nelle scuole italiane. E' dovuta passare un'ora e mezzo
prima che l'onorevole Diliberto (trovando un varco tra cardinali, imam, pie
donne turbate dalla secolarizzazione della società, politici cattolici e
politici molto attenti a non urtare i cattolici) riuscisse a esprimere il
concetto fino allora omesso dalla discussione. E cioè che la scuola di
Stato, per definizione, è di tutti, e non può rappresentare in alcun modo
il punto di vista di una sola confessione. (Di qui le difficoltà, anche
didattiche, di maestri e professori che devono cercare di garantire tutti,
maggioranze e minoranze). Questo
concetto avrebbe dovuto stare a monte del fiume di parole fin lì profuse.
Come un incipit senza il quale quel dibattito non poteva avere senso. Ma
pronunciato in quel contesto, diciamo così di baruffa interreligiosa, quel
punto di vista (che è, o dovrebbe essere, il punto di vista della scuola
statale) pareva solo la bizzarra intromissione di un pittoresco mangiapreti. Fino
a lì, infatti, il menù era stato questo: l'anziano borgomastro di Treviso,
Gentilini, circondato da un drappello di madri addolorate, che brandiva
"le nostre tradizioni cristiane" contro lo straniero, miscredente,
malavitoso e drogato. L'imam di Torino, saggiamente sulla difensiva, che
spiegava di stimare molto Gesù e Maria perché sono citati favorevolmente
nel Corano (per fortuna...). La bella e brava (molto bella e molto brava) portavoce di Forza Italia, Elisabetta Gardini, che, sorridendo a tutti, ripeteva in versione politicamente grammaticata più o meno lo stesso concetto di Gentilini, e cioè che l'identità cristiana va difesa a tutti i costi - anche se non si capiva bene da chi, se non dal suo alleato di governo Gentilini, che la adopera, l'identità cristiana, come un randello. Una mamma veneta inviperita perché, per garantire alla prole la giusta dose di buona educazione cattolica, è costretta a spendere la retta di una scuola privata: contestazione di stupefacente incongruità (la scuola di Stato non ha il compito di dare una buona educazione cattolica: solo una buona educazione civica) che nessuno si è sognato di contestare. C'è
da chiedersi che cosa sia accaduto o stia accadendo, in questo paese, per
fare sì che il punto di vista non confessionale trovi tante difficoltà
(nonostante la buona volontà degli onorevoli Diliberto e Boselli) per
potersi esprimere compiutamente. Di più e di peggio, vorrei dire che il
punto di vista agnostico e non confessionale, in quella come in altre
trasmissioni e discussioni, assume addirittura connotati extra-italiani,
tanto forzuta e invadente è la ripetizione dell'assunto identità nazionale
uguale identità cristiana. Assunto ripetuto, sia pure per casuale accumulo
di sbocchi d'ira e non certo in seguito a un ragionamento, dall'incredibile
Gentilini, che ha rivendicato, come precedente merito patriottico, di avere
difeso il Veneto, in gioventù, "dalle orde comuniste che premevano
oltreconfine". Il male viene sempre da fuori, e dai cosacchi ai
musulmani si traveste, d'epoca in epoca, come fa Satana per corrompere i
costumi e minare la fede della gente buona e semplice. Qualche
direttore didattico e qualche insegnante ha tentato di smontare il caso
giornalistico smentendo di avere voluto "censurare" le tradizioni
natalizie, ma il caso nel frattempo era già di molto sovrastante la loro
facoltà di spiegare, e di far capire quanto sia difficile (ma doveroso)
barcamenarsi nella scuola multietnica: cioè nella realtà italiana, qui e
ora. Il caso era perfetto per far partire il dibattito televisivo da una
domanda ("Chi ha paura del presepe?") che era già di suo una
scelta di campo. Quella di chi sospetta o coglie il tradimento identitario,
e la diserzione culturale, in ciascuna delle inevitabili incertezze, dei
faticosi aggiustamenti che la convivenza tra diversi porta con sé, specie
in quegli avamposti che sono le scuole pubbliche. Messi
alla gogna per probabili errori, e per l'indubitabile goffaggine alla quale
espone l'eccesso di correttezza politica, quei pochi (pochissimi) insegnanti
e direttori didattici della scuola di Stato che hanno cercato di
universalizzare, scolorendolo, il significato del Natale, appaiono, in
questo contesto, i soli veri colpevoli nonché gli utili idioti di un
processo (fantasmatico) di scristianizzazione del paese. Come se, con quello
stipendio, non fosse già consolante e importante che il personale docente
si ponga domande forti e difficili come quella che sta alla base, dico alla
base, dei compiti della scuola pubblica, e cioè ospitare e istruire i
bambini e i ragazzi senza alcuna discriminazione di classe sociale, di
provenienza etnica e di credenza (o non credenza) religiosa. Fortuna
che almeno monsignor Tonini, che miscredente non dovrebbe essere, pareva
assai più turbato dalle fobie di Gentilini che dal preteso attacco al
presepe. Brandito come un'arma impropria, il presepe minaccia di rompersi,
statuetta per statuetta. E siccome, proverbialmente, ci piace o' presepe,
vorremmo tanto che non fosse appaltato così disinvoltamente.
(11 dicembre 2004)
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