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MARZO 2006
Ma se tutto cambia cosa
cambia?
Alla vigilia delle elezioni, quali le attenzioni e le
promesse per la scuola?
a cura di Michela
Gallina e Serafina Gnech
Si profila una primavera all’insegna
delle attese, vigilia di un appuntamento molto importante, quello
elettorale. Come insegnanti, ci preoccupa quale potrà essere il destino
della scuola sia nel caso di un cambio della guardia, sia nel caso in cui
venga riconfermata l’attuale situazione.
Dando una scorsa veloce al programma della maggioranza uscente si evince
come, per un eventuale ulteriore quinquennio di legislatura, la scuola sia
posta piuttosto in secondo piano in quanto il governo considera di averne
già portato a compimento la riforma. Quindi ci si può aspettare un
consolidamento delle trasformazioni compiute dal Ministro Moratti,
trasformazioni “irreversibili” e soddisfacenti, che non necessitano di
revisioni o modifiche, perché comunque il Governo è riuscito nella titanica
impresa di rinnovamento (o smantellamento): una legge, 6 decreti attuativi,
24 allegati. Di fronte a questi dati oggettivi, poco importa, a livello di
immagine, che non sia riuscito a dare concreta e completa attuazione alla
sua legge: “anticipi nella scuola dell’infanzia”, ‘Tutor’ e ‘portfolio’
stanno nella carta, ma stanno fuori dalla maggioranza delle scuole italiane.
Pioniera in questo la scuola primaria, che ‘fa scuola’ alla secondaria.
Il programma dell’Unione, d’altro canto, si fa forte dell’individuazione dei
punti deboli della contestata riforma, primo fra tutti il fatto che si sia
trattato di un insieme di modifiche che non hanno tenuto conto del parere
dei diretti interessati ed enuncia il seguente principio ispiratore:“Non
sono possibili riforme senza che i destinatari ne siano anche protagonisti”.
La base di partenza, in ogni caso, è data dalla proposta di “riscrivere”,
piuttosto che “abrogare”, la riforma Moratti.
L’intento è quello di spostare l’asse della scuola da luogo che insegna a
luogo che educa, da luogo che affida al docente il mandato sociale di
trasmettere cultura a ‘comunità educante’ in cui si realizza una sorta di
assunzione orizzontale di un identico ruolo educativo: “la scuola è
un’istituzione che si fa comunità con i soggetti protagonisti: studenti,
insegnanti, dirigenti, famiglie, personale amministrativo e ausiliario…”. E
ancora: “ai docenti, alle famiglie, ai ragazzi stessi è affidato di nuovo
l’obiettivo dell’educazione”. Dobbiamo dire che, dietro la suggestione che
tali affermazioni inevitabilmente esercitano, individuiamo il pericolo di
un’ulteriore legittimazione del portfolio, dell’ingerenza delle figure
esterne (della famiglia in particolare), in quelli che sono gli specifici
ambiti di competenza della docenza. Quello che invece viene proposto è una
sorta di identico ruolo educativo dove tutti sono soggetti con lo stesso
mandato educante, dove non vi è una figura professionalmente preparata,
deputata e legittimata ad avere il primato dell’istruzione e
dell’educazione. Tutti ugualmente educanti dunque: “la scuola è
un’istituzione che si fa comunità con i soggetti protagonisti: studenti,
insegnanti, dirigenti, famiglie, personale amministrativo e ausiliario…” e
dove l’insegnante non emerge come professionista principale, ma come
comparsa. E come possiamo immaginare che questa “comunità educante” operi
nel rispetto della “libertà di insegnamento” prerogativa costituzionalmente
riconosciuta agli insegnanti che presuppone anche “autonomia nella
valutazione”?
Nel programma dell’Unione, anche l’autonomia scolastica, che pure ha assunto
negli anni forme tali da configurarsi come autonomia dei dirigenti piuttosto
che del corpo docente, non viene messa in discussione.
Vi è poi un passaggio in cui ci sembra di individuare un’articolazione di
“carriera” (ritornano i vecchi fantasmi berligueriani?): “…riconoscendo
senza introdurre inutili gerarchie, lo sviluppo delle competenze e
responsabilità professionali legate al miglioramento dell’insegnare e
dell’apprendere, e vanno sostenute, all’interno dell’unicità della funzione,
forme di articolazione delle attività…”
Chissà se possiamo dare per scontato che tutto questo vada eventualmente
deciso con i docenti, come da premessa oppure se nel caso in cui tutto
cambi, niente cambi?
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